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Lunghe corna e latte di fiori

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Nel corso dell’età magnogreca, i bovini rivestivano, ad esempio, anche un ruolo rituale poiché erano oggetto, soprattutto a Taranto, di una specifica festa in onore di Era, moglie di Zeus, mentre nel corso del Medioevo si diffuse l’utilizzo dei bovini come animali da lavoro ed iniziarono ad essere presi anche come unità di misura di superficie in base alla quantità di terreno che poteva essere arata da una coppia di buoi (il cosiddetto “parecchio”)
di Antonio Caso
L’addomesticazione dei bovini avvenne in Oriente tra il 10.000 e l’8.000 a.C., più precisamente in Mesopotamia, nell’altopiano iranico, nel Turkestan ed in seguito nei siti del neolitico egiziano e nelle civiltà della valle dell’Indo, inizialmente in maniera nomade e poi attorno ai primi villaggi agricoli. Un importante impulso fu dato dai Romani il cui pasto dei legionari consisteva in gran parte da formaggi a pasta dura che iniziarono, così, ad essere trasportati in ogni angolo dell’impero. Nel corso del Medioevo, invece, i bovini venivano allevati nei monasteri ed il formaggio, accompagnato col pane, costituiva il principale alimento dei pellegrini, mentre bovini da lavoro erano posseduti dai feudatari. Per quanto riguarda l’Italia centro-meridionale, nel corso dell’età del bronzo, questa fu contraddistinta da una forma di omogeneità culturale con la cosiddetta Civiltà Appenninica ed in questa circostanza, la transumanza e l’uso dei pascoli montani favorirono gli scambi culturali come si può dedurre anche dalle ceramiche ritrovate presso i centri lungo i versanti dell’Appennino. In Puglia, questo fenomeno interessò particolarmente il Gargano, ma l’allevamento di bovini era praticato anche nel resto della regione. Nel corso dell’età magnogreca, i bovini rivestivano, ad esempio, anche un ruolo rituale poiché erano oggetto, soprattutto a Taranto, di una specifica festa in onore di Era, moglie di Zeus, mentre nel corso del Medioevo si diffuse l’utilizzo dei bovini come animali da lavoro ed iniziarono ad essere presi anche come unità di misura di superficie in base alla quantità di terreno che poteva essere arata da una coppia di buoi (il cosiddetto “parecchio”). Nel corso dell’età moderna comparvero, quindi, le prime aziende specializzate chiamate appunto “masserie di vacche” col cui termine poteva intendersi anche la sola mandria e non necessariamente il complesso di edifici. Dall’inizio di maggio fino alla fine di settembre veniva praticata la transumanza verso i pascoli dell’Alta Murgia o del Molise e dell’Abruzzo. Nella seconda metà del novecento, razze bovine a maggiore produttività avrebbero soppiantato la razza autoctona, la vacca “podolica” che, però, non è del tutto scomparsa, ma è rimasta nel territorio forse più contraddistinto da questa tipologia d’allevamento: il Gargano.
La Vacca podolica del Gargano deriva da un ceppo asiatico giunto in Italia probabilmente a seguito delle invasioni barbariche nel periodo di crisi dell’Impero romano d’Occidente. Un importante indizio circa l’esatta provenienza di questi animali è data dalla Podolia, regione immersa tra le steppe dell’Ucraina. Già nel V secolo d.C. la vacca podolica era diffusa su tutto il territorio nazionale, ma ebbe particolare successo proprio sul Gargano dove in seguito, talvolta, avrebbe assunto anche il nome di bovino “pugliese”. Essa ha un profilo rettilineo, corna larghe ed il caratteristico manto grigio e possiede grandi capacità di adattamento anche a condizioni ambientali difficili; malgrado ciò, oggi se ne contano solo 25 mila capi tra Puglia, Campania, Basilicata e Calabria, ma sul Gargano ha preso vita un importante progetto portato avanti dal Parco Nazionale che ha visto l’istituzione del Presidio Slow Food della “Vacca podolica del Gargano”. Qui, infatti, viene tuttora allevata allo stato brado sulle alture di Rignano Garganico, Monte Sant'Angelo, San Marco in Lamis, San Nicandro Garganico, Mattinata, Carpino e nella tenuta di Santa Tecla a Vieste oltre che all’interno del Parco Nazionale del Gargano dove sono iscritti al Libro Genealogico circa 350 i capi ed altri 300 sono in via di registrazione. L’allevamento allo stato brado offre un latte particolarmente aromatico con cui poi si producono diversi formaggi (tra cui il caciocavallo podolico di cui parleremo tra poco) e carni sapide e ricche di sali minerali dalle parti grasse di colore giallo poiché gli animali brucano erbe ricche di carotene, una sostanza praticamente assente nei mangimi degli allevamenti intensivi. Il prodotto principale della vacca podolica, però, è proprio il suo latte con il quale si produce soprattutto il preannunciato caciocavallo. Numerose sono le varietà di questo formaggio diffuso in tutte le regioni del sud Italia (Silano, di Godrano, di Agnone), ma parleremo qui, in particolare, del caciocavallo podolico del Gargano. Questo è la sintesi perfetta dell’allevamento allo stato brado, delle erbe del Gargano, del latte dei suoi animali, della transumanza verso le alture. Sarebbe proprio da quest’ultima, infatti, che avrebbe assunto quella forma che noi ora conosciamo, comoda da trasportare e pratica nella stagionatura visto che non poggia su una superficie  resta sospeso “a cavallo” di una pertica. Per produrlo prima di tutto si fa a cagliata che poi viene rotta in grani simili a chicchi di riso; si introduce, quindi, la pasta in una tinozza con del siero e poi viene posto a sgrondare su un tavolo inclinato. Una volta ultimata questa fase si taglia a fette, lo si fila con dell’acqua bollente e viene, dunque, modellato da mani esperte che gli conferiscono la forma di un fiasco con una testina che viene chiusa e modellata. È in questa fase che viene posta la “chiusura”, quella che per molti casari è la firma stessa sul caciocavallo ed è un atto che richiede molto tempo perché è da qui che il caciocavallo farà fuoriuscire il sale in eccesso dopo la fase della salamoia e determinerà, quindi, la buona riuscita del formaggio stesso. Dopo la “chiusura”, infatti, il caciocavallo viene immerso in acqua fredda, poi messo in salamoia e dà inizio al lento processo di stagionatura. A cavallo della pertica vengono tenuti prima nella stessa sala dove sono stati prodotti poiché il calore del fuoco utilizzato per produrne altri asciugherà la parte più esterna e manterrà l’umidità all’interno del formaggio; dopo una settimana vengono, invece, sistemati in un luogo buio, tradizionalmente una cantina o una grotta dove l’umidità consentirà di conservare il formaggio proteggendolo con muffe nobili per un periodo che può durare da qualche mese a sei anni.
mucche
Una volta stagionato il caciocavallo ha quindi una scorza dorata ed una consistenza più o meno morbida in base al periodo trascorso al buio. Non viene praticamente mai usato in cucina, ma solo come formaggio da tavola poiché in tal modo conserva tutte le particolari caratteristiche organolettiche derivate dai sentori delle erbe garganiche, dei fiori amari e delle spezie che lo rendono uno dei formaggi più aromatici d’Italia. Le stesse sfumature di colore della pasta possono cambiare a seconda del pascolo o dell’erba scelta dalle vacche. Il caciocavallo podolico viene prodotto tutto l’anno, ma il picco della produzione si ha proprio in corrispondenza con quello del latte della vacca con cui viene creato: in primavera. Anch’esso è presidio Slow Food, un’istituzione che ha, tra gli obiettivi, anche quello di riattivare i locali tradizionali di stagionatura come le grotte naturali. Altre varietà di caciocavallo podolico vengono prodotte in Basilicata e Campania (in particolare tra Salerno ed Avellino), inseriti anch’essi nella lista ministeriale dei prodotti agroalimentari tradizionali italiani. Una storia decisamente emblematica quella della vacca podolica e del suo caciocavallo, di una terra in cui dalle strade sono ancora visibili le maestose corna delle podoliche, libere. Una sintesi di una regione melting pot di storie e culture diverse e di un territorio che non vuole perdere le proprie ricchezze, ma cerca di rielaborarle e valorizzarle in chiave contemporanea perché la modernità possa riconoscere in un boccone di formaggio nomade ancora l’aroma dei fiori e delle erbe dei prati del Gargano

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